Ricordo una paziente che veniva regolarmente in studio da me a fare controlli per la degenerazione maculare. Voleva sempre che la visitassi io. Giurava di tenersi controllata anche da sola con l’aiuto della Griglia di Amsler e prendeva regolarmente degli integratori specifici per la retina. Per diverso tempo la malattia non diede segni di progressione e la vista rimase stabile. Poi, a uno dei soliti controlli mi disse combattuta: «Dottoressa, non vedo più abbastanza bene per cucinare, non riesco nemmeno a fare le parole crociate, e anche con gli occhiali non cambia niente!».
Terminata la visita, la diagnosi era cristallina: sviluppo della cataratta. Storie come questa non sono rare. La degenerazione maculare è una patologia relativamente diffusa associata all’invecchiamento, che colpisce l’area della retina detta macula. In molti casi ha un decorso lento, ma può anche capitare che la vista peggiori in modo repentino – e in tal caso, tra i fattori responsabili vi è anche la cataratta. Quando ci si trova di fronte a un quadro del genere, decidere di procedere chirurgicamente non è semplice.
La difficoltà di un intervento di cataratta in pazienti affetti da maculopatia sono le potenziali ripercussioni negative sul decorso di quest’ultima, con conseguente accelerazione del processo degenerativo della macula. In caso di maculopatia in stadio avanzato (la cosiddetta maculopatia “umida” o “essudativa”), che comporta la presenza di depositi di liquido al di sotto della retina, ci muoviamo poi la massima cautela. A volte, in casi del genere è necessario effettuare un trattamento preliminare a base di iniezioni, che agiscono stabilizzando almeno in parte la malattia – e sfide ancora più complesse riguardano le forme avanzate di maculopatia in cui si ha già la formazione di tessuto cicatriziale. Nel decidere come procedere è di grande aiuto l’esame OCT, in grado di fornire un quadro ad alta precisione circa lo stato della macula.
Quando mi trovo di fronte a un paziente affetto da degenerazione maculare mi riservo più tempo per il consulto: per me è importante che il paziente capisca tanto i potenziali benefici quanto i rischi connessi a un intervento di cataratta con maculopatia concomitante. In casi del genere, l’operazione serve a ridurre l’annebbiamento della vista e potenziare la percezione della luce, o quantomeno far sì che il paziente possa orientarsi meglio nello spazio.
Al momento della decisione finale, ovvero se proporre o meno al paziente di procedere con l’intervento di cataratta pur in presenza di maculopatia concomitante, la mia premessa è sempre la stessa: se la maculopatia è in fase attiva, come prima cosa bisogna fare tutto il possibile per bloccarne il decorso – o quantomeno rallentarlo. Solo una volta stabilizzata, o qualora la cataratta sia in così forte peggioramento da precludere al paziente le normali attività quotidiane, consiglio di procedere chirurgicamente.
La storia della paziente raccontata in apertura del blog ha avuto un lieto fine: la sua maculopatia è rimasta stabile, senza sostanziale progressione. Prima di farsi operare di cataratta la signora ha compreso che, data la degenerazione della macula, non poteva aspettarsi di ottenere una piena acuità visiva, per cui a intervento concluso si è detta contentissima dell’esito: la vista riacquisita dopo l’operazione le ha consentito di tornare a occuparsi da sola di tutte le faccende quotidiane, e ha anche ricominciato a leggere. Ricordo ancora che al primo controllo post intervento ha esclamato: «Ci vedo di nuovo, sono tornata a cucinare e a divertirmi con le parole crociate!».